Perché dobbiamo leggerlo per amarci di più.
“Se il mondo continua a dirti che non sei abbastanza bravo, sano, liscio, in forma, produttivo, positivo o zen, è ora di chiederti cosa diavolo c’è che non va nel mondo”
Il titolo completo del libro è “Manuale di autodistruzione. Perché dobbiamo leggerlo per amarci di più.” Potreste non crederci, ma questo libro insegna a volersi bene.
Dalla prima all’ultima pagina, nel modo più naturale possibile, senza mai guardarsi indietro.
Lo fa con uno schema preciso: ti spiazza, ti spiega, ti convince.
Ti spiazza perché mette in crisi, con grande abilità, tutte quelle abitudini che adottiamo nell’illusione di prenderci cura di noi, ma altro non sono che “regole per funzionare meglio e adattarsi meglio allo status quo”.
“Sii positivo, cammina dritto, fai sport, pratica la mindfulness, mangia sano. […]
E poi ti ritrovi a casa, sul divano. Senza un centesimo in tasca, bloccato in un lavoro idiota, scivolando lentamente in un esaurimento nervoso.”
Lavori su di te per “essere all’altezza”, sorridente, in salute, performante, ben inserita, di successo.
Segui tutte le regole pedissequamente, coltivando l’illusione autodistruttiva che l’ostacolo alla felicità e alla tua piena realizzazione siano le tue debolezze, le tue imperfezioni e i tuoi difetti, da cui puoi “guarire” con forza di volontà, un manuale di auto-aiuto ed un buon corso di yoga.
E invece: il problema non sei tu.
Il problema, spiega Donner, è il modello capitalista del mondo occidentale che, facendo propria una retorica di positività ossessiva, ci spinge a consumare il più possibile per “diventare la versione più bella, socialmente apprezzata e intelligente di noi stessi e poter competere con gli altri”.
A supportare la propria tesi, l’autrice sceglie innumerevoli riferimenti culturali, oscillando con disinvoltura tra l’accademico e il pop: ci sono le teorie di Fisher, Žižek, McLuhan e Bertrand Russell, le esperienze di vita di Orwell e Britney Spears e gli espedienti culturali di Tenacious D, Anouk, Her o Il Trono di spade.
Tutto allo scopo di dimostrazione che non basta lavorare su se stessi per risolvere la sensazione di disagio al cospetto della società delle performance:
Possiamo anche adeguare le nostre aspettative, ma questo non elimina il problema. A mio parere queste non sono soluzioni, ma modi di adeguarsi a un mondo anormale.
Secondo Donner, occorre per prima cosa scardinare la convizione che il capitalismo sia l’unica realtà possibile, solo perché questo ha creato una società a propria immagine e somiglianza.
La vita vista come una lotta per la sopravvivenza del più adatto, in cui ognuno persegue il proprio interesse individuale, non è la sola opzione possibile.
Occorre elaborare una nuova visione del mondo, partendo da un’altra visione dell’essere umano.
[…] a coloro che soffrono di esaurimento o depressione viene detto di cavarsela da solo, con la terapia, i farmaci, lo sport, l’alimentazione o una lunga passeggiata del bosco. Gli dicono che deve dare da solo un senso alla sua vita. Come se fosse un suo problema.
Ma l’incremento dei disturbi psichici, il fatto che la depressione sia la malattia più diffusa al mondo riguardano tutti noi. È una ferita inferta alla società intera.
Donner ci spiega che in un mondo del genere non bisogna chiedersi come possiamo ancora migliorare noi stessi. In un mondo simile bisogna chiedersi come fare ad essere il più sovversivi possibile nei confronti di un sistema che ci mortifica tutti.
Giusto, ma da dove iniziare?
L’autrice, ribaltando il concetto alla base dei manuali di auto-aiuto, ci invita a violare le convenzioni sociali con delle categorie di azioni che abbiano un messaggio di auto-affermazione e di rivendicazione di noi stessi che, in qualità di esseri umani, abbiamo il diritto di:
- Puzzare, ovvero, accettare il proprio corpo in tutte le sue fragilità, perché è dal corpo che inizia la nostra resistenza e l’opposizione all’attuale cultura della perfezione
- Bere, cioè, assentarsi dalla logica della produttività, della fretta. Godersi quello che viene definito “tempo perso” perchè in quel tempo perso che si è davvero noi stessi, si è liberi e vivi
- Sanguinare: concedersi la libertà di soffrire. Senza pensare che ci sia una lezione da imparare, una ricompensa o una colpa da espiare e, soprattutto, senza sentirsi obbligati ad essere felici.
- Bruciare, inteso come la libertà di amare un amore imperfetto. Amare come superamento del tempo. Amore come fedeltà al contrasto, alla negatività del momento.
- Danzare, in altre parole, uscire dalle regole, essere imprevedibile, non rispondere ad uno schema preciso, ma di gioire e sentirsi liberi, anche se considerati ridicoli, stupidi o antiestetici.
Aggiungerei un’ultima categoria: FALLIRE
Fallire perché siamo umani, fallire anche se abbiamo una sola possibilità e ce la giochiamo male, fallire e continuare a volersi bene sempre, comunque.
….si tratta sempre della stessa cosa, è una questione di orgoglio.
Quel che volevo dire, alla fine, è: non siate dei camerieri. E se proprio non è possibile fare altrimenti, almeno pisciate nella zuppa.
Ognuno di noi porta con sè una scintilla di rivolta personale di cui prendersi cura dall’inizio alla fine. Facendola bruciare, appunto, danzare, sanguinare, bere, puzzare.